Sostenibilità ed economia circolare: l’accreditamento nei nuovi Regolamenti UE
L’Europa accelera sullo sviluppo sostenibile e sul modello circolare di produzione e consumo. Con Stefano Soro della Commissione europea, parliamo dei nuovi Regolamenti UE e del ruolo degli organismi e dei laboratori accreditati nella transizione verde.
Si è conclusa lo scorso 21 novembre la COP 30 di Belém e molte delle politiche del Green Deal europeo stanno entrando nella fase operativa. Siamo in un momento davvero cruciale per il futuro industriale e ambientale del nostro continente.
Con Stefano Soro, capo dell’Unità “Sustainable Products” della DG Grow della Commissione europea, esploriamo come l’Europa stia trasformando gli obiettivi di sostenibilità e competitività in piani concreti per le imprese e i cittadini dell’Unione. Anche con il contributo dell’accreditamento.
L’Europa ha assunto la sostenibilità come principio guida per superare il modello lineare di produzione e consumo. In che modo gli scenari internazionali stanno ridefinendo la sfida globale della sostenibilità?
La sostenibilità, per come la intendiamo nello sviluppo delle iniziative politiche e regolamentari, è multidimensionale. Intuitivamente, pensiamo alla sostenibilità climatica e ambientale, ma quello che ci guida è un concetto che è anche economico e finanziario.
Siamo un continente relativamente piccolo, meno del 6% della popolazione mondiale, con una piramide demografica negativa e poche risorse naturali, spesso complicate da estrarre e processare. Abbiamo, quindi, un interesse evidente a tenere le risorse nel ciclo economico il più a lungo possibile. Le industrie europee spendono circa il 45% del fatturato in input materiali e ogni anno usiamo otto gigatonnellate di materie prime, di cui solo una ha una qualche forma di circolarità, di solito il riciclo.
Un’altra dimensione è quella della sostenibilità politica e geopolitica delle nostre scelte. Il caso del gas russo ha messo in luce le nostre dipendenze: eravamo legati a 155 miliardi di metri cubi di gas russo e ne siamo usciti rapidamente, a costi importanti. Questo ci spinge a riflettere sulle dipendenze da fonti uniche in catene del valore strategiche, come energia o tecnologie cleantech. Per questo abbiamo introdotto iniziative come il Net-Zero Industry Act o il Critical Raw Materials Act, dove nelle disposizioni sugli appalti pubblici vengono introdotti criteri non di prezzo, ma di autonomia strategica, sostenibilità, cybersicurezza.
Infine, c’è la sostenibilità sociale delle nostre scelte. Se decarbonizziamo deindustrializzando o applicando regole molto ambiziose solo ai nostri territori, ci diamo la zappa sui piedi e non facciamo nessun favore al pianeta.
Un modello circolare, invece, è associato a impieghi ad alto valore aggiunto e meno delocalizzabili, come quelli connessi al ricondizionamento dei prodotti, al trattamento dei rifiuti o alla gestione delle materie prime secondarie. L’indicatore faro è il 12% di circolarità dei materiali, che ambiamo a raddoppiare nei prossimi anni.
Due provvedimenti europei prevedono un ruolo chiave per gli organismi e i laboratori accreditati: il Regolamento sulle batterie del 2023 e il Regolamento Ecodesign del 2024. In che modo questi regolamenti segnano una svolta, e quali sono le tappe temporali per l’adozione degli atti delegati?
Questi due regolamenti sono strettamente legati e rappresentano una svolta basata su un modello di successo: la legislazione Ecodesign ed etichettatura energetica in vigore da quasi vent’anni. Le etichette sui frigoriferi, lavatrici, smartphone e tablet sono la parte visibile di un quadro regolamentare che ha funzionato per consumatori e imprese, e che ha portato a risparmi annuali di emissioni pari a quelle di uno Stato grande come la Polonia.
Abbiamo, quindi, applicato questo modello alle batterie che hanno un ruolo crescente nella nostra mobilità e nella gestione delle fonti energetiche rinnovabili. Siamo, poi, passati a un regolamento quadro ispirato alla Direttiva Ecodesign che sposta il focus dai prodotti che consumano elettricità alla considerazione dell’intero ciclo di vita.
Le prime tappe sono in corso: per il Regolamento sulle batterie sono già stati adottati atti delegati e di esecuzione, con un orizzonte al 2030. Per il Regolamento Ecodesign, abbiamo adottato un programma di lavoro fino al 2029 e sono in sviluppo i primi atti delegati.
Si è conclusa da poco la consultazione pubblica sul Circular Economy Act, destinato a essere un pilastro della transizione verde. Quali sono gli obiettivi di questa iniziativa legislativa?
In 15 anni, il tasso di utilizzo di materie prime circolari è passato dal 10,7% al 12,2%: un progresso modesto, che vogliamo accelerare. Dipendiamo da materie prime importate, con una pressione crescente sui mercati: negli ultimi dieci anni il mondo ha usato più materie prime che in tutto il XX secolo. Ci sono rischi per sicurezza economica e autonomia strategica, come mostrato nel caso del gas russo. Dobbiamo essere più circolari e diversificare le fonti di approvvigionamento.
C’è, inoltre, una frammentazione del mercato unico europeo per materie prime secondarie e rifiuti come acciaio, alluminio e plastica. E, poi, ovviamente, ci sono le esternalità ambientali e climatiche dell’economia lineare di cui dobbiamo tenere conto.
Per questo, gli obiettivi cardine del Circular Economy Act sono di creare un vero mercato unico per le materie prime secondarie e di renderne vantaggioso l’uso, abbattere le barriere, evitare la perdita di materie preziose e aumentare la produttività delle risorse.
Dal 1970 la produttività del lavoro è cresciuta del 350%, quella delle risorse solo del 150%, segno che c’è margine. Questa situazione genera scarsa fiducia e pochi investimenti, anche se sempre più Istituzioni finanziarie, italiane incluse, stanno aumentando l’impegno nei business circolari ritenendoli affidabili nel lungo periodo.
Qual è il ruolo degli organismi e dei laboratori accreditati in questo percorso?
Il ruolo dell’accreditamento è fondamentale per dare credibilità al sistema.
Con il Nuovo Approccio del 1985 abbiamo scelto una regolamentazione flessibile per i prodotti sul mercato interno: le direttive e i regolamenti definiscono solo i requisiti essenziali di sicurezza e conformità, mentre il resto è affidato a norme europee volontarie che, quando collegate alla legislazione, danno presunzione di conformità.
Più i requisiti sono complessi, più servono organismi notificati e controlli di terza parte basati su un accreditamento credibile. È il pilastro della fiducia nel sistema di regolamentazione e valutazione della conformità.
In trent’anni di esperienza in settori diversi – dai dispositivi medici ai giocattoli, dall’eco design alle batterie – è evidente quanto l’accreditamento sia decisivo. Senza una reputazione solida e risorse adeguate, il sistema perde credibilità.
I punti di forza da valorizzare sono professionalità ed esperienza, mentre occorre potenziare le risorse dell’accreditamento e della sorveglianza del mercato in termini di personale, competenze e reti. Poiché un prodotto che entra nel mercato unico può circolare ovunque, è essenziale dotarsi dei mezzi necessari alle nostre ambizioni.
Quali sono le risorse che saranno necessarie per Autorità pubbliche, imprese e professionisti per attuare davvero la transizione del modello economico?
Sono tante. Infatti, chiediamo alle Autorità di sorveglianza del mercato, alle imprese e agli organismi di valutazione della conformità di acquisire nuove professionalità. Una dogana, 40 anni fa, controllava la conformità fiscale, i documenti, le frodi. Con il Nuovo Approccio, si è passati, oggi, a verificare l’impronta carbonica, il ciclo di vita dei prodotti, la provenienza di componenti con catene del valore globali.
Ci sono strumenti di supporto, come il passaporto digitale di prodotto previsto in regolamenti su Ecodesign, batterie e altri settori, ma servono investimenti.
Non basta invocare nuove regole: è fondamentale che le risorse, il supporto alle imprese e l’informazione ai consumatori siano adeguati agli obiettivi. Servono personale, reti informatiche, scambio di buone pratiche tra Autorità, sistemi digitali e cooperazione. Dobbiamo far rispettare le nostre regole alle frontiere dell’Unione con la stessa efficacia con cui le applichiamo all’interno.
In che modo l’Europa può costruire un vero e proprio ecosistema di fiducia attorno agli impegni per l’economia circolare? Cosa servirà per consolidare la leadership del continente nella sostenibilità, con il contributo dell’accreditamento?
Dobbiamo fare in modo che stakeholder e opinione pubblica siano informati e coinvolti, perché la fiducia non nasce da messaggi velleitari ma da un ecosistema credibile.
Deve essere chiaro che il passaggio dal modello lineare, sempre più sotto pressione, a uno più circolare porta benefici nel breve, medio e lungo termine, per la qualità della vita e per le generazioni future. Nessuno pensa a un modello autarchico: non è l’obiettivo. Siamo il più grande e più aperto mercato unico del mondo, ed è così che dobbiamo proseguire.