Mascherine chirurgiche e DPI, tra procedure straordinarie e test di laboratorio

Mascherine chirurgiche, Dispositivi di Protezione Individuale (DPI) e mascherine di comunità: riconosciute tra gli strumenti essenziali per combattere il virus SARS-CoV-2, il loro utilizzo è andato crescendo in maniera esponenziale dall’inizio della pandemia da Covid-19. Ad aprile, quando si vide che la domanda non era in grado di soddisfare l’offerta, il Governo corse ai riparti con la Legge 27/2020, “Cura Italia”, individuando disposizioni straordinarie per la gestione dell’emergenza Coronavirus. L’articolo 15, in particolare, prevedeva la possibilità di produrre, importare e immettere sul mercato mascherine chirurgiche e DPI in deroga alle vigenti disposizioni. La deroga, in vigore fino al termine dello stato di emergenza, attualmente prorogato al 31 gennaio 2021, è stata ripresa con modifiche dalla Legge 77/2020 (“Rilancio”) e riguarda la procedura di validazione e la relativa tempistica, non gli standard di qualità e sicurezza dei dispositivi medici (mascherine chirurgiche) e dei DPI. Nello specifico, la procedura straordinaria di validazione dei prodotti è effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità e da Inail, rispettivamente per le mascherine chirurgiche e per i DPI, sulla base dell’autocertificazione e della documentazione presentata dal produttore, dall’importatore o dall’operatore commerciale.

Qual è lo stato dell’arte? A quali e a quanti controlli vengono sottoposti questi dispositivi? Ne parliamo con Federico Pecoraro e Lorenzo Petrilli, rispettivamente Vice Direttore del Dipartimento Laboratori di prova e Vice Direttore del Dipartimento Certificazione e Ispezione di Accredia.

 

Torniamo prima di tutto sulle diverse mascherine presenti in commercio. Quali sono le differenze tra queste?

Le mascherine più protettive sono quelle che rientrano nella categoria dei Dispositivi di Protezione Individuale per la protezione delle vie respiratorie, in particolare quelle con i marchi FFP1, FFP2 e FFP3. Le prime riescono a filtrare almeno l’80% delle particelle sospese nell’aria, le seconde almeno il 94%, le terze almeno il 99%. Si tratta pertanto di maschere facciali molto performanti e sicure, che proteggono gli altri e se stessi.

Oltre ai DPI, ci sono le mascherine chirurgiche, che sono dispositivi medici utilizzati per proteggere gli altri. La loro differenza con i DPI è importante, dal momento che nascono con lo scopo di proteggere il paziente in situazioni specifiche (ad esempio in sala operatoria) e non il personale sanitario, poiché sono prive del bordo di tenuta sul volto e dello specifico sistema filtrante per aerosol solidi e liquidi, che invece possiedono i DPI.

Ci sono poi le mascherine “di comunità”, spesso auto-prodotte. Rappresentano delle barriere multistrato, realizzate con materiali che non devono essere tossici, infiammabili e allergizzanti, e che devono assicurare comfort, aderenza e respirazione.

 

A quali test vengono sottoposti i Dispositivi di Produzione Individuale?

Un DPI deve essere sottoposto a tutti i test previsti dalla norma UNI EN 149:2001+A1:2009 “Dispositivi di protezione delle vie respiratorie – Semimaschere filtranti contro le particelle – Requisiti, prove, marcatura”. I principali sono la prova di perdita di tenuta verso l’interno, quella di penetrazione del materiale filtrante e la prova di resistenza respiratoria. Altre prove sono quelle di infiammabilità, pratiche di impiego, tenore di anidride carbonica dell’aria di inspirazione, resistenza di fissaggio del portavalvola della valvola di espirazione (se presente) e intasamento. Per eseguirle tutte, servono 50 campioni da testare.

Tuttavia, un’alternativa resa possibile dalle deroghe dell’emergenza sanitaria è rappresentata dal marcare una maschera filtrante non come DPI ai sensi del Regolamento UE 425/2016, ma ai sensi della RFU (Recommendation For Use) emessa dall’NB PPE a livello europeo per la marcatura di maschere filtranti per la protezione da SARS 2 e Covid-19. La lista degli organismi autorizzati a rilasciare le certificazioni per i DPI, previo accreditamento, è pubblicata nella banca dati europea Nando, consultabile sul sito della Commissione europea. 5 sono gli organismi italiani.

 

Come funzionano le verifiche di conformità per le mascherine chirurgiche?

Le mascherine chirurgiche devono essere conformi alla norma UNI EN 14683 “Maschere facciali ad uso medico – Requisiti e metodi di prova”, dopo aver superato le prove indicate presso un laboratorio competente. A oggi sono quattro i laboratori privati che hanno già ottenuto l’accreditamento per effettuare una o più delle prove fondamentali previste dalla norma, dall’efficienza di filtrazione alla respirabilità, alla resistenza agli schizzi, dalla pulizia microbica (bioburden), che accerta l’assenza di popolazione di microrganismi vitali sulla mascherina e/o imballaggio, alla biocompatibilità, per cui il tessuto a contatto con la pelle deve essere biocompatibile, ovvero privo di effetti collaterali negativi o indesiderati (non deve generare allergia, rossore, irritazione, tossicità, ecc.).

Prima della pandemia, i produttori di mascherine dovevano registrare il prodotto su un portale del Ministero della Salute, e tenere il fascicolo dov’era contenuta la lista delle prove svolte, per eventuali successivi controlli. La procedura in deroga invece, avviata per far fronte all’emergenza, fino a oggi ha previsto l’invio all’Istituto Superiore di Sanità di un’autocertificazione per attestare le caratteristiche tecniche del prodotto, unitamente a una dichiarazione di conformità ai requisiti di sicurezza della normativa vigente. La deroga è stata ulteriormente aggiornata con la Legge 77/2020 “Rilancio”, che affida le autorizzazioni degli importatori extra UE alle Regioni, a cui in prospettiva si potranno chiedere dati specifici.

 

Quanti controlli sono stati eseguiti da gennaio 2020 a oggi sulla produzione e messa in commercio dei DPI?

Per quanto riguarda tutta la categoria dei DPI, quindi non solo mascherine FFP, uno degli ultimi report rileva che su quasi 7.500 pratiche processate da Inail, sono stati autorizzati circa 700 soggetti, come produttori, importatori, operatori commerciali. Proprio nelle settimane scorse, l’Inail, attraverso il Comitato tecnico per la validazione straordinaria e in deroga dei DPI, a cui partecipa anche Accredia, nella persona di Federico Pecoraro, ha innovato la procedura di validazione, semplificandone i criteri, per assicurare il necessario fabbisogno di DPI e sostenere la ripresa in sicurezza, fino al termine dello stato di emergenza.

Un Comitato tecnico analogo è stato costituito per gestire la nuova procedura semplificata per le mascherine chirurgiche, come previsto dalla Legge “Rilancio”.

 

Quanto costano le certificazioni per i DPI e le prove per le mascherine chirurgiche? C’è un costo standard per questo tipo di procedure? E dei tempi di base?

Sia per i DPI sia per le mascherine chirurgiche, non è possibile parlare di un “costo standard” né di un tempo “x”. Per i DPI per esempio, ogni organismo ha un proprio tariffario e non è possibile fare una stima dei tempi. In tempi normali, fuori dall’emergenza sanitaria, questi potevano variare da 3 o 4 settimane a un paio di mesi.

Discorso analogo per le mascherine chirurgiche. I costi riguardano le prove sul prodotto da effettuare presso il laboratorio accreditato. Ogni laboratorio ha il proprio tariffario e i costi e tempi dipendono dal numero e dalla complessità dei test richiesti (efficienza di filtrazione, respirabilità, pulizia microbica, biocompatibilità, resistenza agli schizzi).

 

Il numero dei laboratori accreditati per i test sulle mascherine chirurgiche risulta più alto in Italia rispetto agli altri Paesi europei. Qual è il motivo di questa differenza?

I laboratori accreditati per le prove fondamentali sono quattro. I restanti sono accreditati per la prova di pulizia microbica e/o biocompatibilità, anch’esse importanti, ma da sole non sufficienti per dichiarare la conformità alla UNI EN 14683. Questo primato del nostro Paese è dovuto probabilmente al fatto che l’Italia è stato il primo paese in Europa a vivere l’impatto del contagio e gli effetti della pandemia e quindi per primo si è organizzato a livello di sistema, da quello industriale imprenditoriale a quello dei test di conformità e dei controlli di sicurezza.