Cambiamenti climatici, prevista una rivoluzione. Il ruolo dell’accreditamento

L’ultimo Rapporto dell’ONU sul clima “Cambiamenti climatici 2021 – Le basi fisico-scientifiche” non lascia dubbi: le emissioni di gas serra dovute alle attività umane stanno soffocando il pianeta e mettendo a rischio immediato miliardi di persone. Bisogna correre ai ripari e bisogna farlo presto. Ne è convinto anche Daniele Pernigotti, ispettore di Accredia, esperto in materia e impegnato in prima linea con Ride With Us, un progetto itinerante di cittadinanza attiva che combina convegni sul cambiamento climatico e musica nelle piazze di varie città.

 

La risposta dell’Europa non ha tardato ad arrivare: il Green New Deal europeo e il sistema europeo di commercio delle emissioni in atmosfera (EU ETS) sono stati studiati per contrastare i cambiamenti climatici e ridurre in maniera economicamente efficiente le emissioni di gas a effetto serra. L’obiettivo finale è quello di rendere l’Europa il primo continente al mondo a emissioni zero entro il 2050, oltre che il primo mercato mondiale della CO2. Quale contributo può dare l’accreditamento in questo senso?

Intanto dobbiamo partire dalla consapevolezza che ci saranno impegni veramente colossali che ci fanno intravedere una vera e propria rivoluzione nei prossimi anni. Tutti gli impegni di riduzione però devono partire da una logica di solida quantificazione delle emissioni. Parliamo di quello che le Nazioni Unite chiamano Monitor Reporting Verification, ossia monitoraggio, comunicazione e verifica delle emissioni rientranti nel sistema di scambio di quote di emissioni dei gas ad effetto serra, e che, in ambito ISO, ha visto aggiungersi appunto l’accreditamento.

Lo strumento dell’accreditamento infatti è fondamentale nel dare solidità al sistema di quantificazione che era legato al monitoraggio. Si arriva così a dare consistenza ai numeri, che sono la base della quantificazione, e all’aspettativa, che c’è sempre in questi casi, di dichiarare che una tonnellata di CO2 è, dappertutto e realmente, una tonnellata di CO2.

In questo, ripeto, l’accreditamento ha un ruolo centrale e la presenza di una rete internazionale degli Enti che svolgono tale attività, qual è IAF (International Accreditation Forum), che si basa su un riconoscimento reciproco di regole per operare, ovvero gli MLA (Multilateral Agreement), ci permette di dire che i sistemi di verifica sono validi in tutto il mondo.

 

Il continuo aumento del livello del mare è uno dei fenomeni dei cambiamenti climatici già in atto, irreversibili in centinaia o migliaia di anni, che ci chiamano a un’azione rapida ed estesa. Nei trasporti, sono stati previsti standard più rigorosi sulle emissioni di CO2 per auto e furgoni, lasciando intravedere uno scenario che va verso una mobilità a emissioni zero. Puoi spiegare meglio cosa è previsto nell’ETS in merito al settore produttivo?

L’ETS è veramente la pietra miliare della politica sul cambiamento climatico dell’Unione europea. E’ stato definito nel 2003 quando ancora non era entrato in vigore il Protocollo di Kyoto e quindi, a livello internazionale, non c’era ancora il consenso operativo su questi temi ma è talmente importante che oggi coinvolge circa 11mila aziende a livello europeo, responsabili globalmente di ben il 45 per cento delle emissioni globali.

In parole povere, se un’azienda a cui attribuiscono un limite di emissione, per esempio di 100mila tonnellate di CO2, fa il monitoraggio delle emissioni e scopre che ha emesso 110mila tonnellate di CO2, questa è costretta a dover comprare le 10mila tonnellate eccedenti sul mercato. Se invece, la stessa azienda, fosse efficiente nella gestione dei suoi processi e invece che 100mila ne emettesse 90mila, avrebbe un credito che potrebbe vendere sul mercato. Quindi, di fatto, si è creato un mercato della CO2 e la cosa interessante è che fino a due, tre anni fa costava circa 45 euro a tonnellata. Oggi la stessa CO2 costa dai 50 ai 60 euro a tonnellata. E voi capite cosa accadrebbe se un’azienda sbagliasse a fare i conti di solo 10mila tonnellate. Insomma, i soldi in gioco sono parecchi e questo è un esempio eclatante di quanto la CO2 stia diventando cruciale per il business, tanto che l’ETS non è più gestito a livello di personale tecnico, e quindi a livello operativo, ma viene discusso a livello dei consigli d’amministrazione delle aziende.

 

La CFP (Carbon Footprint o impronta climatica di prodotto) rappresenta la quantità di emissioni di gas a effetto serra generate lungo il ciclo di vita di un prodotto o servizio. Calcolarla, e quindi certificarla, vuol dire proiettarsi verso un’evoluzione delle politiche ambientali aziendali anche in relazione alla crescente sensibilità verso la problematica del cambiamento climatico. Quali opportunità rappresenta per le aziende?

Il significato della Carbon Footprint deve essere analizzato a due livelli: uno a livello etico, perché sappiamo che il cambiamento climatico è la più grande sfida che l’umanità si sia mai trovata ad affrontare. E in questo caso è necessario che si agisca a tutti i livelli, in tutti i paesi e in tutti i settori. Quindi, è fondamentale che le aziende introducano politiche per ridurre il contenuto di carbonio o le emissioni di carbonio collegate al ciclo di vita dei prodotti. E questo può essere fatto soltanto attraverso una prima valutazione molto affidabile della CO2 che è collegato ad un prodotto.

Poi c’è un altro livello che riguarda le opportunità di mercato. Chiaramente le prime aziende che si muovono riescono a sfruttare ancora di più il vantaggio competitivo. Si pensi che c’è anche la possibilità di aumentare la competitività con i Paesi extraeuropei. I Paesi, per esempio, in cui adesso gli impegni sul taglio delle emissioni non sono così significativi e con cui magari l’Europa non può competere in termini di prezzo. Quindi se la competizione non è a livello di prezzo, bisogna agire sul valore aggiunto che può essere dato rispetto al tema del cambiamento climatico. Ovviamente questo richiede anche un’azione molto attenta sulla comunicazione, ed è necessario appoggiarsi a programmi di comunicazione come Carbon Footprint Italy in Italia o altri programmi che esistono a livello internazionale.

 

Sei stato recentemente nominato Chair dell’ISO/TC 207/SC7, il sottocomitato ISO dedicato agli aspetti di valutazione della conformità in ambito di gestione ambientale. Questa nomina si somma a quella di Chair del tavolo CEN/TC 467 sul cambiamento climatico. In entrambi i casi il tema dell’accreditamento sembra ruotare attorno alla norma ISO 14065, recentemente revisionata. Ci spieghi come è cambiato lo scenario a seguito di questa revisione?

La ISO 14065 è la norma cruciale di tutto il sistema di accreditamento nell’ambito dei gas a effetto serra che, come dicevo, è stata recentemente revisionata.

Uno degli aspetti più interessanti è stata l’estensione dello scopo dal solo argomento gas a effetto serra a tutte le informazioni ambientali. Di fatto adesso è diventata la norma di riferimento per qualsiasi tipo di verifica e di informazione ambientale anche andando al di là del cambiamento climatico. Parallelamente si è sviluppata anche la norma ISO 17029: questa norma quadro è una specie di norma umbrella sul tema delle verifiche validazione. Le due norme, la 17029 e la 14065 devono lavorare assieme in modo integrato e questo complica abbastanza il panorama delle attività di verifica e di accreditamento. C’è, infine, il ruolo che la 14065 ha assunto da tempo sul cambiamento climatico: una norma di accreditamento che si applica nelle mission trading per le MRV Shipping, un altro schema molto importante che obbliga tutte le navi a quantificare le emissioni di gas ad effetto serra per la carbon footprint di prodotto ed organizzazione. Quindi, sicuramente, ha un ruolo strategico sul gas ad effetto serra anche se questo ruolo è ulteriormente amplificato dall’estensione della applicabilità a tutte le informazioni ambientali.