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Corte di Giustizia UE: in Europa solo l’Ente nazionale può svolgere l’accreditamento

Notizia
12 maggio 2021

Sentenza della Corte di Giustizia UE sull’applicazione del Regolamento 765/2008 in tutti i Paesi membri: in Europa l’accreditamento, rientrando nei pubblici poteri, può essere svolto solo dall’Ente Unico nazionale di accreditamento.

L’ultimo capitolo della vicenda giudiziaria “Analisi G. Caracciolo”, che ha coinvolto l’Ente Unico italiano di accreditamento, è stato scritto lo scorso 6 maggio con la sentenza della Corte di Giustizia europea C-142/2020.

La Corte UE ha emesso una pronuncia definitiva in merito alla causa con cui, il 26 febbraio 2020, il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, di fronte all’impugnazione della Sentenza del TAR da parte del laboratorio “Analisi G. Caracciolo”, aveva deciso di non pronunciarsi ma di rivolgersi alla Corte.

La Corte di Giustizia europea ha dunque ribadito il valore e l’applicazione del Regolamento CE 765/2008 in tutti i Paesi membri, rispondendo alle questioni sottoposte dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana.


In UE l’accreditamento può essere svolto solo dagli Enti conformi al Regolamento


La prima questione chiedeva se il Regolamento europeo 765/2008 potesse essere interpretato in modo da consentire lo svolgimento dell’attività di accreditamento nel territorio dell’Unione anche da parte di un Ente non avente sede in uno dei Paesi UE, ove fosse in grado di dimostrare di possedere una qualifica assimilabile agli Enti di accreditamento europei, anche attraverso la firma degli Accordi di mutuo riconoscimento.

La Corte di Giustizia UE ha ribadito il senso dell’articolo 4, paragrafi 1 e 5, e l’articolo 7, paragrafo 1, del Regolamento CE 765/2008: l’attività di accreditamento in Europa non può essere svolta da Enti diversi dall’Ente Unico nazionale di accreditamento, designato ai sensi dello stesso Regolamento.

Altri Enti di accreditamento, aventi sede in uno Stato terzo, quand’anche garantiscano il rispetto delle norme internazionali e dimostrino, in particolare mediante Accordi di mutuo riconoscimento (es. ILAC MRA), di essere in possesso di una qualifica equivalente a quella di Ente Unico nazionale di accreditamento, non possono tuttavia rilasciare accreditamenti in Europa. Infine, le leggi nazionali non possono prevedere interpretazioni diverse da questa.

 


Non equivalenza degli Enti extra UE ed esercizio dei pubblici poteri


A complemento di questa prima interpretazione, la Corte di Giustizia UE ha chiarito che l’adesione di un Ente di accreditamento non UE agli Accordi internazionali di mutuo riconoscimento extra europei (come ILAC) non consente di garantire che l’Ente di accreditamento soddisfi i requisiti previsti dal Regolamento CE 765/2008.

È vero che i firmatari dell’Accordo di mutuo riconoscimento, segnatamente quello ILAC, devono dimostrare di soddisfare le norme internazionali ISO relative ai requisiti imposti agli Enti di accreditamento degli organismi e laboratori in tutto il mondo (serie 17000), nonché i requisiti supplementari, in particolare in termini di esperienza.

Ma tali requisiti non corrispondono a quelli stabiliti dal Regolamento europeo, attinenti segnatamente al fatto che, in forza dell’articolo 4, paragrafo 5, tali Enti nazionali di accreditamento svolgono un’attività di autorità pubblica nel rispetto dei requisiti elencati all’articolo 8 del Regolamento, in particolare i requisiti di indipendenza, imparzialità e competenza.

 


L’istituto europeo dell’accreditamento non viola il principio della concorrenza


La seconda questione riguardava l’esame della legittimità del Regolamento laddove istituisce un Ente Unico di accreditamento in ogni Paese UE, in presunta violazione dei principi europei di concorrenza, libera prestazione dei servizi, non discriminazione e divieto di disparità di trattamento.

La Corte di Giustizia UE, facendo riferimento all’articolo 4, paragrafi 5 e 7, e all’articolo 6 del Regolamento CE 765/2008, letti alla luce del considerando 15, ha chiarito che l’Ente nazionale di accreditamento svolge un’attività di autorità pubblica, al di fuori di qualsiasi contesto commerciale, che esso opera senza fini di lucro e che l’attività di accreditamento deve rispettare il principio di non concorrenza. Quindi, un soggetto del genere non può essere considerato un’«impresa», ai sensi del diritto dell’Unione, e non può rientrare nell’ambito di applicazione delle disposizioni relative al divieto di abuso di posizione dominante.

 


L’antefatto giudiziario del caso Accredia – laboratorio “Analisi G. Caracciolo”


Il laboratorio “Analisi G. Caracciolo” aveva deciso di ricorrere al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, per impugnare la decisione del TAR Sicilia (n. 951/2017) che confermava la legittimità del Decreto Regionale 9 marzo 2017, con il quale era stato escluso dall’elenco dei laboratori autorizzati all’attività, poiché privo della precondizione necessaria, ossia l’accreditamento da parte di Accredia. Il laboratorio aveva chiesto l’annullamento del Decreto citato, sostenendo di essere in possesso di un certificato di accreditamento rilasciato dalla Perry Johnson Laboratory Accreditation Inc., Ente di accreditamento con sede negli Stati Uniti d’America.

Il TAR aveva accolto l’appello di Accredia, avvalendosi di quanto indicato nel Regolamento CE  765/2008 che fissa le regole sull’esercizio dell’accreditamento in tutti i Paesi UE, stabilendo che per ogni Paese ci sia un solo Ente di accreditamento, e che questo sia membro dell’organismo europeo EA (European co-operation for Accreditation) riconosciuto dalla Commissione europea. Si stabilisce inoltre che l’Ente Unico del Paese membro entri in EA dopo aver superato con successo le valutazioni inter pares, che garantiscono l’equivalenza dei servizi di valutazione della conformità prestati nell’Unione europea. Il Regolamento, agli articoli 6 e 7, prevede per i soggetti interessati l’obbligo di rivolgersi “all’Ente nazionale di accreditamento dello Stato membro in cui sono stabiliti” e non a un Ente di un Paese terzo.

Il laboratorio però, al fine di sostenere l’illegittimità dell’esclusione e della conseguente decisione del TAR, si appellava al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che, rigettando il ricorso, decideva infine di interpellare la Corte di Giustizia europea sulle questioni sollevate in merito alla legittimità del Regolamento 765.