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Strategia Energetica Nazionale: la certificazione accreditata per una crescita sostenibile

Pillole di Osservatorio
31 ottobre 2017

Promuovere la crescita significherà, soprattutto dopo gli Accordi di Parigi, aumentare la produttività, ridurre le diseguaglianze e, al contempo, ridurre l’impatto antropico sull’ambiente, mitigando i rischi di medio lungo termine del cambiamento climatico.

L’Italia, strutturalmente povera di materie prime energetiche convenzionali, ha posto negli anni una particolare attenzione alle fonti energetiche rinnovabili e all’efficienza nell’utilizzo dell’energia. Il basso indice di intensità energetica che caratterizza il nostro Paese rispetto alla media dei Paesi europei conferma tale impostazione. In questa fase storica, la riattivazione degli investimenti e l’inversione di tendenza dei principali indicatori macroeconomici per l’Italia, richiede una particolare attenzione al tema del rinnovamento tecnologico delle produzioni. In più, gli obiettivi di risparmio energetico, stimolando l’innovazione, portano all’attivazione di nuovi investimenti in ricerca e tecnologia.

Le indicazioni del Ministero dello Sviluppo economico e del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare su una possibile Strategia Energetica Nazionale, che dovrà essere approvata, pone per l’Italia sfidanti obiettivi di miglioramento dell’approvvigionamento energetico e di decarbonizzazione per il 2030 e si inserisce nell’attuale contesto macroeconomico come un pacchetto di misure organiche in cui l’efficienza energetica è elemento trasversale in grado di cogliere l’obiettivo di aumentare la competitività energetica di imprese e famiglie.

Gli organismi accreditati, che svolgono il servizio di valutazione della conformità di prodotti, servizi, sistemi di gestione o figure professionali a norme volontarie e obbligatorie, consentono di certificare gli strumenti messi in campo per il raggiungimento degli obiettivi della Strategia Energetica Nazionale.

In questa partita Accredia, esercitando il suo ruolo di Ente unico nazionale di accreditamento, in collaborazione con il Comitato Termotecnico Italiano (CTI), ha elaborato gli schemi di certificazione e accreditamento – approvati dal MiSE e del MATTM,  per la conformità alla norme:

  • UNI CEI 11339:2009 in materia di Esperti in Gestione dell’Energia (EGE);
  • UNI CEI 11352:2014 in materia di Società che forniscono servizi energetici (ESCo);
  • UNI CEI EN ISO 50001:2011 in materia di Sistemi di Gestione dell’Energia (SGE).

Tra i provvedimenti legislativi che riconoscono valore a tali schemi, il D. Lgs. n. 102/2014 è certamente la norma di riferimento; obbliga infatti le grandi imprese e quelle energivore a dotarsi di diagnosi energetiche che devono essere obbligatoriamente effettuate da Esperti in Gestione dell’Energia (EGE) o Auditor Energetici (AE) – certificati da organismi accreditati secondo la norma ISO/IEC 17024 – o da Energy Service Company (ESCo) – certificate da organismi accreditati secondo la norma ISO/IEC 17065 – o effettuate come strumento di supporto a un Sistema di Gestione dell’Energia (SGE) conforme alla UNI CEI EN ISO 50001 o alla UNI CEI EN ISO 14001 certificato da organismi accreditati secondo la norma ISO/IEC 17021-1.

L’impulso che la normativa ha dato alla diffusione della UNI CEI EN ISO 50001 ha portato ad un significativo aumento dei certificati rilasciati da organismi di certificazione accreditati, soprattutto tra le imprese energivore.

Tuttavia, come già evidenziato nell’Osservatorio ACCREDIA “Le certificazioni per l’efficienza energetica , le proiezioni future rivelano una quota rilevante di efficientamento delle produzioni che non verrà sfruttata (efficiency gap).

Tale potenzialità di efficientamento non sfruttata deriva, in parte, dalla mancata quantificazione, e dunque corretta rappresentazione, del beneficio che un investimento green ha sull’impresa nel medio-lungo termine; l’analisi costi/benefici deve tenere conto, oltre alla profittabilità dell’operazione, anche, in un’ottica più generale, dei benefici energetico-ambientali prodotti. In questo senso, anche le difficoltà di finanziamento di interventi di efficientamento energetico rispondono alla difficoltà, da parte degli operatori privati, di percepire gli interventi come operazioni utili di per se stesse, che garantiscono una loro profittabilità. A questo quadro, già critico, si aggiunge l’indisponibilità di strumenti finanziari idonei a tener conto degli effetti positivi di un intervento di efficienza energetica, incorporando in maniera corretta il rischio. Il cambio di paradigma richiesto alle imprese nella valutazione di un investimento green dovrebbe accompagnarsi allo stesso cambio di visione da parte di chi finanzia i progetti erogando credito.

Un possibile percorso virtuoso per sviluppare e raggiungere livelli di investimento adeguati a ridurre l’efficiency gap potrebbe essere il ricorso, da parte delle imprese, alle Energy Service Company. Queste infatti, attraverso gli EPC (Contratti di Efficientamento Energetico) effettuano interventi finalizzati a migliorare l’efficienza energetica, assumendo su di sé il rischio dell’iniziativa, liberando il cliente da ogni onere organizzativo ed economico. Secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 102/2014, per il mantenimento della certificazione, le ESCo devono avere in essere contratti di EPC. Nonostante la maggiore diffusione di tali società a partire dalla pubblicazione del Decreto, solo meno del 10% di queste società ha potuto stipulare tali contratti – come riportato dall’Energy Efficiency Report 2017 – sicuramente, almeno in parte, a causa della mancata ufficializzazione delle linee guida per il loro funzionamento.

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