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Energia, la certificazione accreditata per contrastare l’aumento dei costi

Pillole di Osservatorio
03 ottobre 2022

In un contesto economicamente instabile, i sistemi di gestione dell’energia certificati sotto accreditamento secondo la ISO/IEC 50001 possono contribuire a ridurre il peso dei costi energetici nei conti delle imprese stimolandone la competitività.

Già nel 2021, prima dell’invasione russa dell’Ucraina, i prezzi delle commodity energetiche avevano raggiunto livelli critici. Le cause sono molteplici e riguardano fattori di squilibrio tra domanda e l’offerta, alcuni di carattere congiunturale altri di carattere più strutturale come, ad esempio:

  • l’aumento della domanda cinese che, in linea con gli impegni presi rispetto alla decarbonizzazione delle attività produttive nel 2060, ha strategicamente trovato nel gas naturale (come del resto fece l’Europa anni fa) la principale fonte energetica “di transizione”
  • la forte contrazione della produzione europea, ridotta a un terzo rispetto al picco dell’inizio del 2014
  • la contrazione delle esportazioni russe, già prima della guerra, secondo uno schema offensivo che vede la Russia utilizzare il gas naturale come strumento geopolitico
  • il minor ricorso a contratti di lungo termine, anche come riflesso della politica della concorrenza dell’UE
  • le politiche europee della transizione energetica.

 


L’aumento dei prezzi dell’energia


La Commissione, spinta dal convincimento che i contratti a lungo termine potessero rappresentare un ostacolo alla creazione di un mercato interno dell’energia, ha assunto, a partire dal primo decennio degli anni duemila, una serie di decisioni antitrust che ne hanno ostacolato lo sviluppo. La realizzazione di un mercato europeo dell’energia si è accompagnata alla liberalizzazione dei mercati del gas e ha costituito uno dei fulcri della politica della concorrenza dell’UE. Secondo la visione della Commissione europea, i comportamenti degli operatori dovrebbero essere coordinati da mercati liquidi e spessi; sulla base dei segnali di prezzo generati da mercati ben funzionanti – condizione necessaria per ridurre l’incertezza – le imprese prenderebbero le loro decisioni di investimento. In un settore molto capital intensive, come quello dell’energia, la riduzione dell’incertezza incide positivamente nel processo d’investimento. Dunque, una politica, come quella europea, che punta allo sviluppo dei mercati, deve indebolire “la prospettiva monopolistica” in cui gli impegni a lungo termine di carattere bilaterale sono il modo ottimale per strutturare i rapporti commerciali. Viceversa, lo sviluppo della concorrenza si alimenta di mercati all’ingrosso ben funzionanti che significano più trasparenza sulle condizioni di domanda e offerta e minore possibilità di esercitare il potere di mercato quando si negozia con operatori di più piccole dimensioni.

Nel corso degli ultimi anni si sono modificate anche le regole di formazione del prezzo: gli scambi indicizzati, con diversi meccanismi, alle quotazioni spot del gas sono gradualmente cresciuti nel corso degli anni ed oggi rappresentano la quota di gran lunga prevalente. Questo cambiamento riflette in parte una scelta degli operatori e in parte un esito indiretto dello sviluppo degli hub (Punti di Scambio Virtuale nei quali avvengono le contrattazioni) spinto dalla politica della concorrenza. La maggior volatilità del mercato del gas naturale rispetto al mercato del petrolio, al quale erano precedentemente indicizzati i contratti, è stata una ulteriore ragione dell’aumento dell’esposizione degli operatori alle variazioni di prezzo.

Hanno contribuito alla contrazione della produzione europea di gas anche le politiche europee della transizione energetica, che scontano una comunicazione che non tiene conto del gap tra gli obiettivi di riduzione e di sviluppo delle energie rinnovabili e la concreta capacità di raggiungerli da parte dei Paesi membri. Secondo gli operatori, continuare a  evocare una maggiore efficacia delle politiche di decarbonizzazione come soluzione alla crescita dei prezzi, ignora le difficoltà che impediscono di raggiungere gli obiettivi. I principali elementi di ostacolo sono da ricercarsi nell’effettiva capacità di produrre energia da fonti rinnovabili (in grado di far fronte anche a picchi di domanda e di superare i problemi di intermittenza delle fonti rinnovabili) e nella lentezza dei processi autorizzativi.

D’altronde il fabbisogno di investimenti addizionali nelle fonti fossili, funzionali ad accompagnare la transizione energetica, sembra poco compatibile con gli impegni che vanno assumendo istituzioni finanziarie e investitori. L’investimento sostenibile non è quindi più una politica “nice to have”, ma è diventata un ingrediente essenziale nella maggior parte dei portafogli degli investitori che hanno iniziato a ridurre le loro esposizioni nei confronti dei produttori di energia da combustibili fossili.

 


Gli effetti sulle imprese italiane


La principale ragione sottostante l’impatto così pervasivo e significativo che la crisi energetica sta avendo sull’economia italiana è legata alla forte dipendenza, molto più alta che in Francia e Germania, del nostro Paese dall’utilizzo del gas naturale, non solo come fonte di produzione dell’energia elettrica ma anche come input diretto all’interno dei processi produttivi. Il differenziale di prezzo dell’energia elettrica per le imprese italiane rispetto alle concorrenti francesi e tedesche è diffuso per tutte le fasce di consumo annuo e, in media, pari a circa il 40%.

Tra i paesi di provenienza dei combustibili fossili la Russia copre quasi metà delle importazioni UE di gas, il 44% di quelle di carbone e quasi un quarto di quelle di petrolio. Le pressioni al rialzo dei prezzi già in corso a partire da metà dello scorso anno non potevano quindi che essere amplificate dalla guerra: il prezzo del gas naturale ha raggiunto 236 euro/mwh in media in agosto con un picco di 330 euro/mwh (Confindustria, Congiuntura Flash – Settembre 2022).

Ma come ha influito l’aumento dei prezzi delle materie prime energetiche sui costi sostenuti dalle imprese? Sulla base di una stima di Confindustria che tiene conto sia dall’acquisto della materia prima (effetto diretto) sia dall’acquisto dell’energia prodotta con quelle materie prime energetiche e dei raffinati del petrolio (effetti indiretti), se l’aumento dei prezzi non dovesse rientrare nel corso dell’anno in corso, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione aumenterebbe per tutte le attività economiche. Confrontando le stime per il nostro Paese con quelle ottenute per Francia e Germania, l’effetto sui costi energetici per le imprese italiane risulta sensibilmente maggiore. Al 2022 si stima che l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare a rappresentare l’8,0% dei costi di produzione per l’industria italiana, a fronte del 7,2% per l’industria tedesca e del 4,8% di quella francese.

In particolare, l’elevata dipendenza della nostra industria dal gas naturale, eletto strumento di transizione verso la decarbonizzazione, implica che variazioni dei prezzi del gas “fuori scala” abbiano un impatto proporzionalmente maggiore nel caso delle filiere industriali italiane rispetto a quelle tedesche e francesi. Per l’Italia, inoltre, bisogna considerare che, come già detto, il minor ricorso da parte delle imprese nazionali a contratti a lungo termine per l’approvvigionamento del gas naturale, ha aumentato l’esposizione degli operatori alle variazioni delle quotazioni spot di questa materia prima energetica.

L’aumento del prezzo dell’energia ha avuto un impatto significativo sui margini (-3,0% nella manifattura, in media nel 2021). Più di recente, nel 2022, come suggerito dal surriscaldamento dei prezzi, le imprese stanno provando a trasferire maggiormente a valle i rincari delle materie prime, anche se l’andamento dei prezzi resta molto più limitato di quello dei prezzi delle commodity energetiche.

 


Gli investimenti nella certificazione


In questo contesto di prezzi energetici crescenti e contrazione dei margini è importante che le imprese tengano sotto controllo i propri consumi di energia, anche e soprattutto per mantenere il livello di competitività necessario in un mercato globalizzato. Un costo dell’energia così elevato è difficilmente sostenibile nel lungo periodo e le variazioni dei prezzi e la conseguente elevata incertezza, sono diventate un fattore di instabilità e di rischio per la continuità operativa, soprattutto per le piccole e medie imprese.

In tale direzione, adottare uno strumento tecnico come la certificazione accreditata del sistema di gestione dell’energia secondo la norma UNI CEI EN ISO 50001 rappresenta un investimento con importanti potenziali benefici.

L’evoluzione normativa degli ultimi anni, dal D.Lgs. 102/2014 al D.Lgs. 73/2020, che indica la certificazione accreditata per mitigare l’impatto delle attività produttive sull’ambiente ed a ridurre il consumo energetico, ha dato un importante impulso alla diffusione dei sistemi di gestione dell’energia tra le imprese. L’andamento dei siti aziendali certificati UNI CEI EN ISO 50001, che a maggio 2022 sono arrivati a 3.768 unità, mostra una crescita annuale dell’11%.

La quota di siti aziendali certificati su base regionale, rispetto al totale dei siti certificati per i sistemi di gestione è pari al 5% in Liguria, al 4,1% in Valle d’Aosta e al 3,9% nel Lazio. Nelle regioni maggiormente industrializzate del Nord le quote sono ancora molto contenute e le potenzialità di sviluppo, anche per i ragionamenti fatti sul contesto macroeconomico, dei sistemi di gestione dell’energia appaiono maggiori.

L’aumentato costo dell’energia e l’elevato grado di incertezza sulla dinamica di quotazioni spot indicizzate al costo del gas naturale, potrebbero portare le imprese, in un’ottica strategica di medio-lungo termine, a decidere di investire sull’efficienza energetica. I sistemi di gestione certificati sotto accreditamento sono uno degli strumenti a disposizione delle organizzazioni per contenere il costo della bolletta energetica e contribuire alla transizione sostenibile della nostra economia.