Cassazione, la certificazione a norme tecniche è attività di natura privatistica


La sentenza della Cassazione


Le Sezioni Unite della Cassazione Civile, con la sentenza n. 9678 del 5 aprile 2019, sono intervenute con un’importante pronuncia sulla questione della natura giuridica della certificazione di conformità a norme tecniche, sotto il profilo della competenza del giudice civile, e non del giudice amministrativo, a decidere in merito alla contestazione di un’azienda destinataria di una decisione non favorevole da parte dell’organismo di certificazione.

La questione della natura giuridica dell’attività di certificazione della conformità a norme tecniche di natura volontaria è infatti particolarmente complessa ma anche di grande attualità, giacché si tratta di un settore che sempre più negli ultimi anni si sta delineando come caratterizzato dalla sovrapposizione di norme privatistiche e pubblicistiche.

Occorre infatti considerare quanto segue:

  • Gli organismi di certificazione sono di norma soggetti di diritto privato che operano in base a un contratto con un’organizzazione, azienda pubblica o privata, che richiede una certificazione di conformità.
  • In molti settori il possesso di una certificazione accreditata è imposto dalla legge come requisito per lo svolgimento di determinate attività o per l’accesso a fondi pubblici.
  • L’attività di accreditamento degli organismi di certificazione è qualificata dal Regolamento europeo CE 765/2008 come esercizio dell’Autorità pubblica, anche se svolta da un soggetto formalmente di diritto privato, come nel caso di Accredia in Italia.

Come si può cogliere facilmente, si tratta di un settore nel quale inevitabilmente convivono i due impianti normativi del diritto privato e del diritto amministrativo, sicché compete all’interprete, volta per volta, individuare la corretta norma da applicare nel caso concreto.

In questo articolato scenario, la sentenza dello scorso aprile delle Sezioni Unite della Cassazione segna un punto importante a favore della natura privatistica dell’attività di certificazione, sotto il profilo dell’individuazione del giudice competente. Con la sentenza in oggetto, infatti, la Suprema Corte ha stabilito che la competenza va riconosciuta al giudice ordinario, dal momento che le controversie tra organismi di certificazione e aziende, che a essi si rivolgono nel richiedere la certificazione, riguardano l’applicazione di un contratto di natura privatistica.

 


La vicenda processuale


Senza entrare in questa sede nei dettagli della singola vicenda processuale che meno interessano una riflessione di carattere generale, i fatti oggetto del giudizio in questione possono essere così sinteticamente riassunti:

  • Una società privata, costituita nella forma della Srl e operante nel settore dell’agricoltura biologica, ha citato in giudizio davanti al giudice ordinario l’organismo di certificazione al quale si era rivolta, per aver quest’ultimo, ad avviso della società attrice, emesso una decisione sfavorevole a seguito di valutazioni ritenute non corrette sul piano tecnico.
  • L’organismo di certificazione, nello svolgere le proprie difese, eccepiva l’insussistenza della giurisdizione del giudice ordinario a favore di quella del giudice amministrativo, evidenziando come la certificazione nel settore dell’agricoltura biologica sia attività posta in essere nell’ambito del quadro normativo europeo, e in particolare del Regolamento CE 834/2007, il che renderebbe la decisione dell’organismo equiparabile a un provvedimento amministrativo come tale impugnabile davanti al TAR.
  • La Suprema Corte non ha accolto tale ricostruzione dell’organismo, e ha invece confermato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario.

 


I passaggi della sentenza


Della puntuale motivazione della sentenza è importante sottolineare almeno tre importanti passaggi, che contengono valutazioni anche di carattere generale della Corte sulla natura giuridica dell’attività di certificazione:

  1. Un organismo di certificazione, quand’anche autorizzato come ente di controllo da parte del Ministero, come nel caso del biologico, non assume comunque la veste di pubblica amministrazione, non potendo nemmeno affermarsi che eserciti nell’esecuzione del contratto di certificazione funzioni pubbliche.
  2. L’attività di controllo tecnico svolta da un organismo di certificazione costituisce esercizio di discrezionalità solo tecnica (osservanza di criteri tecnici) e non anche amministrativa (valutazione degli interessi generali della collettività), sicché tale decisione può essere impugnata solo quale lesione di un diritto soggettivo, dell’organizzazione che richiede la certificazione, sulla base della violazione dei fondamentali obblighi in capo all’organismo, di diligenza, prudenza e perizia.
  3. Anche qualora la certificazione sia un requisito imposto dalla legge, come nel biologico e in generale nell’ambito regolamentato, l’attività di certificazione rimane regolata dal diritto privato e non acquisisce la natura del provvedimento amministrativo (con tutto ciò che ne deriverebbe, ad esempio nei termini di applicazione delle norme sul procedimento amministrativo). La Corte ha evidenziato quanto segue: “gli organismi privati esercitano la loro attività sotto la sorveglianza attiva dell’Autorità pubblica competente, che è in ultimo luogo responsabile dei loro controlli e delle loro decisioni. Il ruolo ausiliario e preparatorio attribuito agli organismi privati dal regolamento non può essere considerato una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri”.

 


Le conclusioni


In conclusione, si deve sottolineare come l’autorevole intervento delle Sezioni Unite, pur riguardando un profilo di natura processuale e non sostanziale, fornisce importanti argomenti a supporto della natura privatistica della certificazione di conformità, anche nei settori in cui la stessa è richiesta dalla legge e quindi più forte è il profilo pubblicistico di tale attività.

Molto importante è anche l’individuazione puntuale da parte della Corte, nel ricondurre la controversia tra organismo e azienda cliente all’alveo della responsabilità contrattuale, degli specifici obblighi di diligenza, prudenza e perizia che l’organismo deve osservare per non incorrere nel rischio di condanna al risarcimento del danno.