A partire dagli ultimi anni del secolo scorso il processo di integrazione dei mercati e l’avvento di Internet hanno esasperato la competizione internazionale. La nostra industria ha contato, prevalentemente, su provvedimenti volti ad aumentare la flessibilità del lavoro piuttosto che su politiche volte al miglioramento della produttività che, in economie mature come la nostra, sono basate principalmente su processi di innovazione tecnologica. Le politiche economiche perseguite hanno quindi sostenuto i livelli di occupazione e la domanda interna ma non sono state in grado di migliorare i livelli di produttività. In assenza di adeguati investimenti infatti la produttività ha ristagnato e il differenziale rispetto alle altre economie sviluppate si è accresciuto.
Le pressioni competitive sono state più intense nelle produzioni tradizionali, in cui la specializzazione dell’Italia era più elevata. Ad esempio, nel comparto del tessile l’Italia ha scontato la perdita di quote di mercato per l’apertura alla concorrenza cinese: tra il 1995 e il 2018 la quota della Cina negli scambi mondiali è aumentata di ben 23 punti percentuali, mentre nello stesso periodo la produzione complessiva realizzata dalle imprese italiane in questo comparto è crollata del 38%.
Particolarmente sentito è stato il ritardo nei processi di digitalizzazione, che ha riguardato non solamente la produzione di beni e servizi digitali, ma anche il loro modesto impiego da parte delle imprese e degli individui. L’indice che riassume il livello di digitalizzazione dell’Europa e degli Stati membri (DESI, Digital Economy and Society Index) pone il nostro paese al 23º posto nell’Unione europea con riferimento all’integrazione delle nuove tecnologie nei processi aziendali.
Il ritardo nella diffusione di nuove tecnologie ha risentito della struttura del sistema produttivo italiano: piccole imprese con limitate capacità di investimento. La contenuta dimensione delle imprese e, soprattutto, la prevalenza di una struttura proprietaria e gestionale familiare limitano infatti le capacità gestionali e, in particolare, condizionano le capacità di change management e la propensione a ricorrere ai mercati dei capitali.
Non è un caso che l”Osservatorio Industria 4.0” del Politecnico di Milano evidenzi una maturità digitale decisamente inferiore delle PMI, in ogni dimensione e in ogni processo analizzato, rispetto alle grandi aziende. Nelle PMI, il controllo, inteso come la capacità di prendere decisioni, è la dimensione più debole della maturità digitale, come pure la capacità di impiegare le tecnologie digitali nell’esecuzione e nella gestione dei processi. Le imprese di piccole dimensioni hanno maggiori difficoltà nel sostenere i costi, diretti e indiretti, legati all’adozione di nuove tecnologie. Il divario nell’adozione di nuove tecnologie tra imprese piccole e grandi si amplia infatti quando si passa da tecnologie meno sofisticate a quelle più avanzate.
La digitalizzazione della manifattura offre importanti benefici alle imprese e le tecnologie 4.0 servono a interconnettere l’intera catena del valore, migliorando l’efficienza tecnica ed energetica dei processi aziendali, e la trasformazione digitale delle imprese richiede una politica industriale che favorisca gli investimenti in nuove tecnologie, con un orizzonte di lungo periodo; questo è tanto più vero per l’economia italiana.
Nel contesto europeo, a partire dalle Comunicazioni del 2005 e fino alla Comunicazione del 2014 “Per un Rinascimento Industriale europeo”, le politiche economiche si sono sempre più orientate verso obiettivi di sviluppo tecnologico, concentrando gli interventi in aree industriali ad elevata crescita e verso l’adozione di tecnologie innovative. Con il piano Digitising European Industry – Reaping the full benefits of a Digital Single Market, lanciato nell’aprile del 2016, la Commissione europea ha affrontato il tema della trasformazione digitale dell’industria e messo in campo misure specifiche con l’obiettivo di rafforzarne la competitività attraverso lo sviluppo e l’integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi.
Anche l’Italia con il Piano Nazionale Industria 4.0 si è dotata di una politica industriale di medio-lungo periodo in linea con le best practice internazionali. Il Piano Industria 4.0 inserito nella Legge di stabilità 2017 e rinnovato negli anni successivi ha, tra le altre cose, introdotto incentivi per le imprese che investono in nuovi beni funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi. Tra le diverse azioni promosse da Industria 4.0 l’iperammortamento è stata la misura che più di tutte ha sostenuto gli investimenti in beni strumentali alla trasformazione digitale delle imprese. Confindustria stima che tale strumento abbia riguardato 10 miliardi di investimenti nel solo 2017 (“Dove va l’industria italiana”, CSC, 2019).
Le disposizioni specifiche per l’iperammortamento stabiliscono che, ai fini dell’eleggibilità per la maggiorazione del costo di acquisizione del bene oggetto di investimento e dunque per la conseguente maggiorazione del valore ammortizzato, i beni di valore superiore ai 500 mila euro debbano essere accompagnati da una perizia di un professionista o da una dichiarazione di conformità rilasciata sotto accreditamento. Le attestazioni garantiscono che il bene risponda alle caratteristiche tecniche fissate negli allegati A e B della Legge di stabilità 2017 e che sia interconnesso ai sistemi di gestione della produzione.
A oggi sono 9 gli organismi accreditati e oltre 1.000 le attestazioni eseguite, di cui oltre la metà per beni di importo inferiore ai 500 mila euro. Infatti, nonostante l’incentivo mediante credito di imposta sia immediato, l’imprenditore continua tuttavia a sopportare il rischio di doverlo restituire nel caso in cui l’agenzia delle entrate, a posteriori, giudichi il bene non eleggibile al regime dell’iper-ammortamento. La dichiarazione di conformità accreditata è uno strumento di garanzia che mette al riparo gli investimenti e dà maggiore serenità all’imprenditore anche per investimenti di importi più contenuti.
Grazie al Piano Nazionale Industria 4.0 molte imprese italiane hanno iniziato un percorso di evoluzione digitale e la grande maggioranza di queste ha espresso una grande consapevolezza della discontinuità rappresentata dalla trasformazione 4.0 (“Osservatorio Industria 4.0”, Politecnico di Milano). A supporto di una politica industriale tesa al rinnovamento tecnologico, centrale in questa fase di trasformazione digitale dei mercati, la certificazione accreditata rappresenta uno strumento su cui imprese e pubblica amministrazione possono contare per sviluppare piani di investimento.
Le azioni del Piano Nazionale Industria 4.0, nate dall’idea di allineare la manifattura italiana al livello di digitalizzazione dei mercati internazionali per consentire alle imprese di competere su scala globale, avranno effetti di lungo periodo che si declineranno, non solo sui conti economici delle imprese coinvolte, ma anche su dimensioni collettive come l’ambiente, attraverso un minor consumo energetico, e la sicurezza del lavoro.