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L’accreditamento per la crescita economica e la responsabilità sociale

Intervista
15 febbraio 2022

Per gli obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e sociale, l’accreditamento è sempre più strategico: l’Avv. Montemarano, Presidente dell’Organismo di Vigilanza, racconta i casi della scuola, dell’assistenza familiare e degli studi legali.

Didattica a distanza, cyberbullismo, regolamentazione di colf e badanti, buone prassi per gli studi legali. Cosa accomuna queste realtà così diverse tra loro? Lo spiega l’Avv. Emanuele Montemarano, Presidente dell’Organismo di Vigilanza di Accredia, che ogni giorno affronta queste tematiche, sostenendo la diffusione della certificazione accreditata e il suo potenziale per lo sviluppo di una società sana e sicura.

 

Partiamo dalla didattica a distanza. Accredia, insieme a UNI e FIDAE ha dato vita alla PdR UNI 89:2020 che fornisce agli operatori scolastici le linee guida per tenere sotto controllo tutte le attività connesse a questo “nuovo” strumento. In cosa consiste?

La Prassi di Riferimento UNI 89:2020 è un documento preziosissimo per il mondo della scuola ed è stata adottata in forma emergenziale appena esplosa la pandemia, con un tavolo formato da tantissimi esperti, coordinati da FIDAE (Federazione Italiana di Attività Educative), UNI e Accredia.

Nella prima parte viene definito un quadro generale di regole e criteri di qualità per tutte le scuole, di ogni ordine e grado, finalizzato a organizzare l’attività didattica a distanza o integrata, ovvero sia nei casi in cui tutti gli alunni sono in quarantena sia nei casi in cui solo una parte degli alunni è a casa. In questo quadro generale, le scuole troveranno tutte le regole di riferimento per progettare a inizio anno l’offerta formativa a distanza, per definire gli obiettivi e gli indicatori di qualità, per formare i docenti e per utilizzare gli strumenti IT. E’ infatti fondamentale la nomina di un referente per la DAD, cioè un docente che abbia sia competenze didattiche che informatiche e che possa affiancare tutti i colleghi, gli alunni e i genitori nell’uso delle piattaforme.

Accanto alla parte generale della Prassi, ci sono più di 20 procedure o modelli operativi contenenti le tracce di lavoro che ogni scuola potrà personalizzare per gestire la didattica a distanza. Un esempio? Le griglie per valutare gli apprendimenti in tutte le fasce di età. Noi sappiamo che è molto diverso giudicare un’interrogazione fatta in classe da un’interrogazione a distanza, dove c’è magari il genitore nascosto che suggerisce le risposte o dove subentrano altre componenti, come l’inclusione dei disabili.

Infine credo che, sebbene l’auspicio sia che l’emergenza sanitaria stia volgendo al termine, non possiamo pensare assolutamente di abbandonare questa prassi perché la didattica a distanza non finirà con la pandemia, così come lo smart working non finirà con la fine dell’emergenza. Si lavorerà perciò con FIDAE, UNI e Accredia e con tutti gli altri soggetti interessati, per creare un testo che possa diventare norma e che, per i prossimi decenni, possa gestire in forma integrata le attività in presenza e le attività a distanza.

 

Sempre in ambito scolastico, parliamo di bullismo e cyberbullismo. Dal 2018 Accredia rilascia un nuovo schema di accreditamento, a sostegno degli istituti e a tutela dei ragazzi. La certificazione può supportare nella lotta contro questo drammatico fenomeno e possiamo sensibilizzare alla diffusione di questo strumento?

Parliamo dello schema di certificazione della Prassi di Riferimento UNI 42:2018 che costituisce, a oggi, il più importante riferimento normativo in Italia per contrastare il bullismo e il cyberbullismo. Fino all’adozione da parte di UNI e di Accredia di questa prassi, non esisteva nessuna norma di carattere generale che indicasse alle scuole come gestire il rischio del bullismo. Certo esisteva già, per esempio, la Legge 71/2017 sul cyberbullismo ma erano e sono tuttora leggi che definiscono solo in termini molto generali qualche principio, senza entrare nel dettaglio operativo.

La Prassi 42, invece, fornisce un vero e proprio decalogo anti bullismo, definendo dieci misure chiare e ben dettagliate. Un esempio? La definizione di un piano della vigilanza in tutti gli ambienti scolastici, visto che quasi tutti i casi gravi di bullismo avvengono non in classe ma all’entrata o all’uscita o all’intervallo o in palestra o negli spogliatoi o, ancora, durante le gite scolastiche, quando cioè i ragazzi sono meno vigilati. E l’analisi dei rischi in ogni scuola e in base al contesto; pensiamo alle scuole multietniche o scuole in cui ci sono molti disabili. E la nomina sia di un docente come referente anti bullismo sia quella di una commissione formata da rappresentanti di alunni e genitori.

Infine definisce l’area del problem solving, che dà indicazioni su come gestire le criticità, quando rivolgersi alle forze dell’ordine, come segnalare i fatti, anche con la garanzia di anonimato e riservatezza, visto che spesso, per paura delle ritorsioni, le vittime o comunque gli alunni informati, non ne parlano agli adulti di riferimento.

Quindi è senza dubbio uno strumento molto importante, molto operativo e ancora una volta, un prodotto normativo che in qualche modo oltre ad aiutare, si sostituisce anche all’inerzia del legislatore in questo ambito. Per quanto riguarda la sua diffusione siamo molto avanti: in Italia ci sono tre organismi importanti che si sono accreditati e diverse scuole si sono certificate in tutte le regioni d’Italia. Cito per esempio, a Roma, scuole private come l’Istituto Massimo dei Padri Gesuiti e l’Istituto Marymount, così come due importantissimi Istituti Comprensivi Statali, quali il Manin ed il liceo Newton.

Parliamo sempre di scuola, ma ci tengo a sottolineare che questa prassi riguarda in generale il contrasto al bullismo e al cyberbullismo, in tutte le strutture che ospitano i minori ed è un errore quindi ricondurla solo alla scuola. Penso per esempio a tutto il settore sportivo turistico, alle case alloggio per minori in difficoltà e addirittura alle strutture detentive per minori.

 

La certificazione accreditata è giunta in supporto anche degli assistenti familiari, quali colf, babysitter e badanti, per valorizzare le loro capacità e ottenere un riconoscimento economico. Lei, come rappresentante di Accredia, ha lavorato in prima linea per la diffusione della certificazione secondo la UNI 11766:2019. In cosa consiste?

Innanzitutto mi preme sottolineare che il filo conduttore dei vari argomenti trattati fino a ora sia il valore sociale che la normativa volontaria e la certificazione accreditata stanno acquistando in Italia.

La norma UNI 11766:2019, nello specifico, rientra nel quadro generale della Legge 4/2013 che ha definito regole e requisiti di qualità per tutte le professioni non regolamentate. In questo caso, la professione ha una straordinaria rilevanza sociale, soprattutto in un Paese che invecchia sempre di più, in cui gli anziani vengono affidati a collaboratori domestici. Fino a oggi non esisteva neanche una regola nel nostro ordinamento giuridico cogente o volontario che stabilisse in base a quali condizioni una persona potesse svolgere questa attività, quali competenze dovesse avere, quale percorso formativo professionale dovesse seguire.

A colmare questo vuoto legislativo è intervenuta appunto la certificazione a norma 11766:2019 per gli assistenti familiari, approvata in collaborazione con Accredia, con Ebyincolf, l’Ente bilaterale nazionale che rappresenta i sindacati dei lavoratori domestici e con le Associazioni delle famiglie datrice di lavoro.

Com’è strutturato lo schema? Sostanzialmente si prende come riferimento il meccanismo europeo sul quadro delle professioni non regolamentate, che segmenta le attività in compiti come la cura personale dell’anziano, la cura della casa, la preparazione dei pasti, l’accompagnamento nelle passeggiate o presso gli uffici pubblici. Per ciascuno di questi compiti poi vengono definite le conoscenze teoriche (i percorsi formativi che le persone che si certificano devono frequentare), le competenze pratiche (che si manifestano con delle prove sul campo) e le abilità personali che fanno parte del profilo professionale di questi lavoratori.

Le colf, le badanti e le baby sitter che posseggono questi requisiti possono richiedere, esattamente come le aziende, una certificazione da parte di esaminatori indipendenti, ottenendo un attestato di qualità che potrà diventare un elemento fondamentale in mano alle famiglie, per scegliere le persone a cui affidare la propria casa o ancora di più i propri cari.

 

Come rappresentante Accredia ha seguito direttamente la stesura con UNI e ASLA (Associazione Studi Legali Associati) della PdR 33:2017, che individua i principi e i criteri per la gestione in forma organizzata degli studi legali. Quali sono gli obiettivi della certificazione?

Prima di tutto vorrei dare due notizie importanti. La prima è che si sta concludendo l’iter per la trasformazione in norma UNI della PdR 33:2017 sugli studi legali. La seconda notizia riguarda invece il fatto che questa Prassi è stata così utile per gli studi legali che anche gli studi dei commercialisti hanno deciso di estenderla anche all’attività di consulenza fiscale. Non si limita a replicare gli schemi già collaudati dei sistemi di gestione ma presenta un taglio fortemente innovativo.

Sostanzialmente i punti caratteristici sono quattro. Il primo punto riguarda il modello organizzativo di tipo aziendale. Gli studi italiani sono spesso studi individuali, a differenza degli altri grandi Paesi del mondo occidentale. L’obiettivo della norma quindi è di diffondere attraverso questo modello, un approccio aziendale organizzato.

Il secondo punto riguarda il controllo dei rischi in un settore in cui il rischio professionale, come è noto, è altissimo e può tradursi anche in un rischio per il cliente, qualora questo non scelga un assistente di qualità.

Il terzo punto riguarda il valore aggiunto della certificazione. In Italia abbiamo un numero elevato di avvocati e quindi occorre introdurre un meccanismo premiante, anche come leva di comunicazione e di marketing, per poter far comprendere alla clientela quali studi si collocano su un livello di maggiore garanzia.

L’ultimo punto è il tema della responsabilità sociale, della sostenibilità. Infatti, chi applicherà questa norma si deve impegnare a realizzare alcuni temi legati proprio alla responsabilità sociale. Cito per esempio la tutela dei praticanti e dei giovani avvocati, che normalmente in Italia vengono sfruttati, la promozione dello smart working, l’impatto ambientale delle attività degli studi, la protezione della privacy, la parità di genere e la tutela della maternità. La maggior parte di professionisti nei nostri studi infatti sono donne che, non essendo dipendenti, normalmente sono costrette a scegliere tra i figli e la professione.

Mi sembra quindi che anche questa norma coniughi la giusta ricerca del profitto, che caratterizza tutte le attività economiche, con la centralità dell’aspetto e della responsabilità sociale sottolineata anche nell’Agenda Onu. Una sfida raccolta sia da UNI e Accredia sia dalle organizzazioni settoriali competenti, che collaborano per generare “buone” norme e promuoverne la certificazione.